Società San Vincenzo Lombardia

Teresio Olivelli, il giovane vincenziano “ribelle per amore”

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Teresio Olivelli, il giovane vincenziano “ribelle per amore”

Il giovane Olivelli nelle parole del devoto ed estimatore Emanuele Gallotti in occasione della beatificazione.

Questo articolo è stato pubblicato su “Speciale Olivelli” de “L’Informatore Vigevanese” del 1° febbraio 2018 in edizione ridotta per esigenze redazionali e qui riprodotto secondo il testo originario previo il consenso dell’Autore, che qui ringraziamo per la disponibilità e l’attenzione dedicataci.

“Teresio Olivelli (1916-1945), medaglia d’oro al valor militare alla memoria, sarà beatificato a Vigevano il prossimo 3 febbraio, perché riconosciuto da Papa Francesco martire “in odium fidei” (e della carità, mi permetto di aggiungere). Combattè fra gli Alpini sul fronte russo e, dopo la disastrosa ritirata dell’8ª Armata italiana (conosciuta anche come Armata italiana in Russia – ARMIR), chiuse definitivamente con il fascismo, militando nella Resistenza, tra le fila delle Fiamme Verdi. Arrestato e deportato, morì a 29 anni nel campo terminale di Hersbruck, in Baviera, per le percosse ricevute da un Kapò che lo aveva sorpreso ad assistere un compagno malato.

Olivelli ha espresso la propria personale Resistenza al nazifascismo non solo a livello caritatevole e assistenziale (che, peraltro, nessuno nega), ma anche attraverso il sostegno attivo alla lotta contro l’invadenza dell’esercito tedesco e i crimini della RSI – Repubblica Sociale Italiana, per un Italia «più libera, più giusta, più solidale, più cristiana».

Nella ricostruzione storica della vicenda olivelliana, è fondamentale che vengano rispettati anche i valori resistenziali, pur riconoscendo che la Resistenza è stata una pagina dolorosa della Storia d’Italia, trattandosi di una guerra e come tale feroce, e pur ammettendo che anche fra i resistenti c’erano i cattivi (basti pensare all’eccidio di Porzûs o al «Triangolo della Morte»).

La scelta resistenziale di Olivelli «si accompagna alla consapevolezza della necessità e della legittimità della lotta armata». Per suffragare questa verità, cito alcuni passi tratti dal libro del prof. G. Di Peio di Roma, docente e preside nei licei statali, nonché allievo di Federico Chabod e Alberto Maria Ghisalberti: “Teresio Olivelli. Tra storia e santità”, Effatà Editrice, Torino 2006.

Il 9 settembre 1943, ricevuto l’ordine di deporre le armi, Olivelli cade prigioniero dei tedeschi. Così «conobbe l’umiliazione […] di tanti giovani che avrebbero voluto e saputo combattere ma ne furono impediti dal generale disfacimento dello Stato».

Dopo la prigionia e le fughe dal territorio tedesco, Olivelli arriva a Udine, dove formula la sua scelta esistenziale: «Mi sposterò verso la Lombardia per dare sulle montagne il mio contributo alla liberazione». A Brescia aderisce alle Fiamme Verdi, movimento nato dall’incontro tra la matrice cattolica e le tradizioni e i valori delle truppe alpine: «sua idea centrale, quasi un pensiero fisso, è la rivolta morale, la ribellione anche armata per riscattarsi a libertà».

E così Olivelli entra nella Resistenza, dove inizia quelle attività ribellistiche che lo renderanno, forse, il più importante e influente personaggio della Resistenza bresciana per la quale svolgerà, all’interno della Fiamme Verdi, il rischioso incarico di mantenere i contatti tra il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Milano, dove era stata posta la sede del comando generale della formazione, e i territori delle province lombarde, essenzialmente quelle di Brescia, Cremona e Mantova, ma con puntate anche nel Veneto, dove il movimento andava costituendo le sue basi «fungendo da ufficiale di collegamento, da canale di informazione (le informazioni, in epoca di guerra, costituiscono il sale dell’azione, ndr) e assicurando, nei limiti del possibile, la trafila dei rifornimenti».

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) scrive che i Comitati di Liberazione Nazionale del Nord Italia rappresentano, nei 20 mesi della Resistenza, la guida politica e militare della lotta di Liberazione. Si tratta di «vere e proprie centrali operative di lotta, di controinformazione (e di governo nelle zone libere)», diffuse in modo capillare sul territorio. L’attività di Olivelli, tra la fine del ’43 e i primi mesi del ’44, è elettrizzante.

La sua influenza sulla Resistenza dei cattolici dell’area lombarda, ma anche di quella veneta ed emiliana, fu fondamentale. Nei pochi mesi in cui poté agire, oltre a svolgere un lavoro di organizzazione, a mantenere e sviluppare i contatti fra il centro di Milano e i gruppi periferici delle “Fiamme Verdi”, elaborò e fece conoscere i fondamenti ideali della ribellione armata al fascismo e al nazismo attraverso il giornale clandestino «il ribelle», di cui fu il fondatore insieme al fucino Carlo Bianchi e al ghisleriano Claudio Sartori.

Oltre a tenere i legami con la Resistenza, egli sta già pensando al domani, a quando la guerra sarà finita e bisognerà ricostruire l’Italia su basi nuove, cristiane. Ed è così che per la Pasqua dei partigiani esce, sul terzo numero de “il ribelle”, quella sua “Preghiera del Ribelle” che molti considerano tra i capolavori della Resistenza.

Si legge ne “I giornali della Resistenza”, sempre a cura dell’ANPI, che “il ribelle” si proponeva il compito di fungere da «fermento di una libera sana profonda cultura», e di diventare un «campo di intransigente moralità». Tutti […] erano invitati a partecipare alla costruzione del nuovo ordine contribuendo sia con il braccio sia con la mente, «coll’idea e con le armi», prendendo parte attiva al processo di liberazione senza attenderla in dono da alcuno. La vera libertà poteva essere conquistata solo con il sacrificio e con una scelta attiva compiuta dal singolo individuo, un principio che trovava la sua formula nella frase «non esistono liberatori. Solo, uomini che si liberano». Questo desiderio di raggiungere autonomamente alla libertà, unito alla fede della propria scelta, assumeva il significato di una rottura totale con il passato più recente, consentendo ai “Ribelli” di conquistare con il proprio coraggio e con il proprio sacrificio una piena dignità personale che assumeva anche i caratteri di un risorgimento nazionale in quanto dava a chi si ribellava il diritto di rappresentare pienamente la nazione:

«Lottiamo, perché sentiamo con noi nascere il dolore e la speranza del popolo italiano e […] sentiamo di essere l’avanguardia dello spirito e delle armi, l’esercito “reale” della nazione e dell’umanità».

Un’avanguardia, completò il discorso qualche mese più tardi Laura Bianchini (1903-1983, politica e partigiana), costretta a usare «la forza in difesa del diritto» contro quanti riponevano il «loro diritto nella forza».

E sempre il prof. Di Peio ricorda che «… da ora fino al momento dell’arresto in piazza San Babila, la vita di Olivelli, diventata clandestina, sarà totalmente assorbita dall’attività resistenziale».

E continua: «Ma la formula olivelliana “far la guerra alla guerra” significa che esiste una guerra, non soltanto lecita ma anche necessaria, che è quella che patrioti e partigiani stanno combattendo contro i signori della guerra tedeschi e fascisti».

Nel gennaio 1944, i cattolici antifascisti della Lombardia si riuniscono a Milano nel collegio dei Barnabiti. Tra gli intervenuti c’era anche Teresio Olivelli che colpì tutti per il calore delle sue argomentazioni: «Ufficiale di artiglieria alpina, era uno dei più convinti sostenitori della resistenza armata». «La precisazione risulta di notevole significato: intanto perché ci fa capire che tra i convenuti non c’era unanimità di vedute sulla scelta della lotta armata, e poi perché in Olivelli tale scelta sembra principalmente ricollegarsi alla sua condizione di ex ufficiale dell’esercito, di soldato. La Resistenza è una guerra, una guerra giusta, data l’altissima posta in gioco e parrebbe inconcepibile pensare di combatterla senza far ricorso alle armi». La resistenza proclamata da Olivelli rifiuta ogni specifica etichetta politica e chiama a raccolta tutti i giovani che sentono la bellezza della libertà, il richiamo della lotta e del sacrificio per i valori che contano. A questi giovani egli dice: «Chi può e vuole segua e spinga oltre con l’idea e con le armi, nelle officine e nelle biblioteche. La precisazione “con le armi” è naturalmente di grande rilievo: le Fiamme Verdi sono state definite come una formazione di “guerriglia a bassa intensità”, né Olivelli fu mai coinvolto in azioni di fuoco; tuttavia egli si occupò certamente di rifornimenti di armi e munizioni per i gruppi delle montagne».

Tant’è vero che quando il 27 aprile 1944 viene fermato, con Carlo Bianchi, da quattro guardie dell’Ufficio speciale di polizia a Milano in piazza San Babila e trasferito a San Vittore «Olivelli porta con sé una borsa piena di carte che dimostrano il suo impegno attivo nella Resistenza, “la pianta di una aeroporto della pianura padana” e “la pratica relativa ad un contingente di armi leggere, specialmente moschetti, destinati a Felice Signorini […] capitano degli alpini e comandante della divisione Fiamme Verdi ‘Tito Speri’”».

Ne “L’Amore che tutto vince” di mons. Paolo Rizzi, si legge che padre Carlo Varischi, assistente ecclesiastico dell’Associazione “Ludovico Necchi”, oggi ALUMNI CATTOLICA, una sera dei primi mesi del 1944, mentre usciva dall’Università Cattolica di Milano, fu raggiunto in via S. Valeria da Olivelli, che poco dopo, cantando, aprì un poco la sua borsa di pelle e gli fece vedere che conteneva parecchie bombe a mano. «Tu sei un pazzo, gli disse padre Varischi, se ti fermano, ti fucilano». Olivelli, sorridendo, rispose: «Sarà come Dio vorrà; queste non devo usarle io, devo solo portarle a Brescia, dove le trasmetteranno ai partigiani di montagna».

E’ chiaro, dunque, che Teresio Olivelli ha partecipato attivamente alla Resistenza. Negare ciò significa distorcere la realtà dei fatti e offuscare i valori di libertà, giustizia e pace per i quali i partigiani combatterono e morirono.

Ricordo anche che, se non fosse stato un partigiano, Olivelli non sarebbe stato arrestato e non sarebbe finito “martire cristiano” nel lager di Hersbruck il 17 gennaio 1945, dove immolò la sua giovane vita a imitazione di Cristo.

Don Luisito Bianchi (1927-2012), prete della Resistenza, scriveva: «Teresio Olivelli esprime nella e con la sua vita l’inaudito connubio tra ribellione e amore, paradossalmente ribellione armata e amore disarmato. Penso che con lui, per la prima volta, questo avvenne nella storia degli uomini, e della Chiesa, se dovesse essere beatificato. Ma per farlo passare dalle maglie dell’istituzione religiosa bisogna togliergli il fazzoletto verde, in modo da farlo passare al di sopra delle parti e renderlo accetto a tutti […]. Ma che ci sta a fare il nostro Martire se gli si toglie la sua ribellione “per amore” che pure lo portò alla conclusione per cui è proclamato beato? Nazifascismo e Repubblica di Salò non furono una invenzione di Teresio Olivelli, ma quel potere concreto che conculcava dignità e libertà di uomini liberi. Appunto per questa ribellione fu chiamato bandito, traditore, fu braccato, catturato, internato in campi nazifascisti, fino al campo di eliminazione, e proprio per questa ragione eliminato. La motivazione del dare la propria vita per amore degli altri, che condiziona la beatificazione, sarebbe monca senza questo atto di ribellione incondizionata al potere, ossia senza dire la scelta che lo portò al dono totale di sé».

A conclusione, mi piace riportare questa riflessione ricevuta il 3 ottobre 2017 dalla prof. ssa Paola Del Din Carnielli (classe 1923, Partigiana, medaglia d’oro al valor militare): «Evidentemente c’è l’idea che noi combattessimo per divertirci anzichè per raggiungere un futuro di libertà e di pace. La mentalità è quella dei preti che durante la prima guerra mondiale era austriacante, come mi raccontava mia madre: infatti pensi quanto spesso citano la frase sulla “inutile strage”, sempre riferita all’Italia. Non si rendono conto di offendere tantissime altre persone, che hanno sofferto e pagato anche proprio per la sopravvivenza della Religione. Per loro tutto ciò che sa di militare è male; vedono la pagliuzza nell’occhio altrui e non la trave nel proprio! La cosa migliore da fare sarebbe presenziare alla cerimonia della beatificazione indossando tutti un gran fazzoletto verde. Noi ricorderemo sempre Olivelli come il “ribelle per amore” senza badare alla teoria limitatrice».

a cura di Emanuele Gallotti
devoto ed estimatore di Teresio Olivelli, beato/martire cristiano il prossimo 3 febbraio
già vice-presidente nazionale APC-Associazione Partigiani Cristiani e già consigliere nazionale FIVL-Federazione Italiana Volontari della Libertà”